domenica 4 novembre 2012

dalla S. Messa Ra.Mi. di Domenica 4 Novembre 2012

A simple path 7
novembre 2012


Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 
Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 
E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi». 
Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 
Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. 

(Mc 12,28-34)


Dalla lettera pastorale “Farsi Prossimo”Carlo Maria Martini
Bisogna ribadire l'importanza di vivere la vicinanza agli ultimi in una prospettiva di fede: la carità che si accosta deve radicarsi, mediante la fede, nell'amore pasquale di Gesù. Altrimenti si rischia l'entusiasmo passeggero, che non ha tenuta. Oppure si rischia l'enfatizzazione sentimentale o ideologica degli ultimi, cadendo in una strana contraddizione: da un lato, in nome del Vangelo, si vogliono levare gli ultimi dalla loro condizione di povertà; dall'altro si dichiara che la loro condizione permette una vita più vicina al Vangelo.
Il vero valore non è la condizione povera in sé e per sé, né la lotta per venirne fuori, ma quel potenziale di amore che si può sviluppare nel viverla o nell' uscirne. Ed è la sapienza della fede, interna alla carità, che ci dice di volta in volta quando e come viverla e quando e come uscirne. O quando e come scegliere liberamente noi stessi di diventare gli ultimi, sull'esempio di Gesù "il quale era come Dio, ma non pensò di dover conservare gelosamente il fatto di essere uguale a Dio. Rinunciò a tutto; scelse di essere come servo e diventò uomo fra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno di loro. Abbassò se stesso e fu ubbidiente a Dio sino alla morte, alla morte in croce" (cfr. lettera ai Filippesi, cap. 2, vv. 6-8).


L’indiano parla di Dio
Passavo lungo il margine dell'acqua sotto gli alberi umidi,
Il mio spirito si cullava nella luce della sera, i giunchi intorno alle ginocchia, 
Il mio spirito si cullava nel sonno e nei sospiri; e vidi gli uccelli palustri camminare
Tutti stillanti su un pendio erboso, e li vidi cessare dall'inseguirsi
L'un l'altro in cerchio, e udii il più anziano parlare:
Colui che tiene il mondo nel Suo becco e fece noi forti o deboli
E' un uccello palustre immortale e vive oltre il cielo.
Le piogge cadono dalle Sue ali stillanti, i raggi della luna dal Suo occhio.
Passai poco più oltre e udii parlare un fiore di loto:
Colui che fece il mondo e lo governa, è sospeso a uno stelo,
Perché io sono fatto a Sua immagine, e tutta questa tinnula marea 
Ha solo una goccia di pioggia che scivola tra i suoi petali ampi.
Un po' addentro nell'ombra un daino levò gli occhi
Colmi di luce stellare, e disse: Colui che foggiò i Cieli
E' un daino grazioso; come, vi prego, poteva Egli altrimenti
Concepire una creatura triste e delicata e graziosa come me?
Passai poco piú oltre, e udii un pavone dire:
Colui che fece l'erba e fece i vermi e fece le mie gaie penne,
E' un immenso pavone, e agita tutta la notte 
La Sua languida coda sopra di noi, accesa da miriadi di faville.
(W.B. Yeats)

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