domenica 6 novembre 2011

WEEK-END NAZIONALE Ra.Mi. - 4-6/11 Castello di San Gregorio / Assisi

"Se tutti vedessero..."



vedere il mondo con occhi diversi





Gesù guarisce un cieco dalla nascita
E passando vide un uomo ch’era cieco fin dalla nascita. E i suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Gesù rispose: Né lui peccò, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui. Bisogna che io compia le opere di Colui che mi ha mandato, mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare. Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo. Detto questo, sputò in terra, fece del fango con la saliva e ne spalmò gli occhi del cieco, e gli disse: Va’, làvati nella vasca di Siloe (che significa: mandato). Egli dunque andò e si lavò, e tornò che ci vedeva. Perciò i vicini e quelli che per l’innanzi l’avean veduto, perché era mendicante, dicevano: Non è egli quello che stava seduto a chieder l’elemosina? […] Da che mondo è mondo non s’è mai udito che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. Se quest’uomo non fosse da Dio, non potrebbe far nulla. Essi risposero e gli dissero: Tu sei tutto quanto nato nel peccato e insegni a noi? E lo cacciaron fuori. Gesù udì che l’avean cacciato fuori; e trovatolo gli disse: Credi tu nel Figliuol di Dio? Colui rispose: E chi è egli, Signore, perché io creda in lui? Gesù gli disse: Tu l’hai già veduto; e quei che parla teco, è lui. Ed egli disse: Signore, io credo. E gli si prostrò dinanzi. E Gesù disse: Io son venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi. E quelli de’ Farisei che eran con lui udirono queste cose e gli dissero: Siamo ciechi anche noi? Gesù rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane. (Gv 9:1-41)



Il segreto della felicita'
*... Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini. Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava.
Invece di trovare un sant'uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un'attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c'era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo. Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.
Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore.
"Nel frattempo, voglio chiederti un favore", concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d'olio. "Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l'olio."
Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del Saggio.
Allora, gli domandò questi: "Hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?" Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d'olio che il Saggio gli aveva affidato.
"Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo", disse il Saggio. "Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa."
Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d'arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d'arte disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.
"Ma dove sono le due gocce d'olio che ti ho affidato?" domandò il Saggio.
Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.
"Ebbene, questo è l'unico consiglio che ho da darti", concluse il più Saggio dei saggi.
"Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza dimenticare le due gocce d'olio nel cucchiaino."* (tratto dall'Alchimista di P.Coelho)



Il Cantico delle Creature

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
petialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate
.



L'UCCELLINO ROSSO GIALLO NERO BLU
"C'erano mattine in cui l'uccellino si svegliava e vedeva accanto a sé l'occhietto nero della mamma che lo guardava con ammirazione.
- Tu che sei
così coraggioso - gli sussurrava - esci per primo dal nido, e torna a dirci se c'è in giro il falco.
- Ma perché proprio io? - chiedeva l'uccellino. - Perché sei un uccellino senza paura - diceva la mamma. Allora lui si levava dal caldo del nido, gonfiava le piume e si gettava tra gli alberi per il bosco ancora silenzioso. Si sentiva così coraggioso, che nessun falco avrebbe osato puntarlo.
Ma altre mattine, appena svegliato, avvertiva su di sé l'occhio trepido della mamma. - Sei il mio bel pulcino - gli diceva coprendolo con un'ala - e hai ancora bisogno di dormire': sei il mio piccolo pulcino appena uscito dall'uovo. E subito l'uccellino si sentiva invaso da una sonnolenza da neonato, si stringeva alla mamma e non lasciava il nido. Poi c'erano mattine in cui la mamma lo guardava quasi con terrore: non gli parlava neppure direttamente. - Martin - sussurrava al papa dell'uccellino. - Dì, Martin, non ti fa paura? Tra tutti i nostri figli questo qui ha qualcosa... Guardalo, non pare anche a te? - Eh... - diceva il papa, dandogli un'occhiata perplessa. Allora l'uccellino si rizzava di scatto, e il suo becco, quasi senza ch'egli lo volesse, si abbatteva sui fratelli, facendoli strillare e cadere dall'albero.
Una grande rabbia gli rodeva il petto, un odio furibondo contro chiunque occupasse il nido.
Ma c'erano anche risvegli bellissimi, quando non isolo gli occhi della mamma, del papa, dei fratelli, erano fissi amorosamente su di lui, ma lo guardavano le formiche, i tassi, certo anche le aquile dai loro picchi, e tutti mormoravano: - Sembri un uccellino fatto di cielo.
E così si sentiva: buono, aereo, leggero, in pace con tutti. Si ravviava le piume, chinava la testa di lato, usciva dal bosco e andava a volare sui prati, dove c'era più sole.
Gli sembrava di non avere mai abbastanza luce.
L'uccellino faceva il bagno alla sera. Quando cominciava a fare buio, e la giornata era finita, andava a bagnarsi in riva a un fiume dalle acque scure per l'ora. Dal fitto d'erba, una colomba bianca lo guardava. Sempre tenera, tranquilla; non cambiava mai.
- Perché non fai il bagno anche tu? - le chiese una sera l'uccellino. - No - disse la colomba - di notte non sai mai di che colore sia l'acqua.
- Perché, cambia di colore? - A monte c'è una tintoria, lo sai, e un giorno l'acqua del fiume diventa rossa, un altro gialla, o nera, o blu. L'uccellino aveva un cervello piccolo piccolo, per lasciar posto agli occhi tondi e al becco largo, pure capì improvvisamente molte cose: certe mattine anche lui si svegliava tinto di rosso, altre di giallo, o di nero, o di azzurro, e così appariva agli occhi degli altri: rosso come il coraggio, giallo come un pulcino tenero, nero come un corvo cattivo, azzurro come un uccellino di cielo. E come lo vedevano gli altri, così si sentiva.
«D'ora in poi sarò sempre del mio colore» si ripropose.
Così, nelle mattine chiare, l'uccellino ora vola al fiume, ma in alto, sopra la tintoria, dove l'acqua è trasparente come l'acqua. Ne esce pulito, grigio, come tanti altri uccellini. E quando torna al nido la mamma gli dice: - Oh, ecco il mio caro uccellino grigio. E lui si sente sempre così, per sé e per tutti: un piccolo uccellino grigio.

CAPITOLO OTTAVO. Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia.
  Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo di verno, e 'l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il quale andava innanzi, e disse così: “Frate Lione, avvegnadioché li frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia”. E andando più oltre santo Francesco, il chiamò la seconda volta: “O frate Lione, benché il frate Minore allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda l'udir alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch'è maggior cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando un poco, santo Francesco grida forte: “O frate Lione, se 'l frate Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: “O frate Lione, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d'Agnolo, e sappia i corsi delle istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: “O frate Lione, benché 'l frate Minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia”.
E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione, con grande ammirazione il domandò e disse: “Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia”. E santo Francesco sì gli rispuose: “Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de' vostri frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch'andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui perché te ne glorii come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e dell'afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen
SE TUTTI VEDESSERO
Ho visto, anche se non c'erano
viste a cui aggrapprarsi, ed
ho visto oltre la fortuna di
qualche attimo in cui sfogarsi.
Ho visto il bisogno, un pò inaspettato,
di non avere occhi accesi sul mondo,
per esser meno spenti di fronte all'altro e
più vicini alla luce nascosta dalle
abitudini del giorno.
Intanto, l'albero è cresciuto, mentre
uccellini venivano e vedevano, per
imparare a cantare come nessun altro nel cielo,
per cercare l'originalità di un proprio unico ramo.
Alla fine, non ho visto mai direttamente il
cammino dell'albero, non l'ho visto
distrattamente crescere, ma l'ho accompagnato con
altri occhi, e durante le notti, in cui credevo di non
aver nulla da vedere, la sua chioma mi ha
sempre sorpreso con un arcobaleno di raggi.
Alla fine, non ho visto mai la crescita
millimetrica dell'abero così come due palpebre
aperte posson fare, ma ho cercato di
coltivarlo e ci son cresciuto insieme.
 Alessio Ortica

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