martedì 8 novembre 2011

4° INCONTRO - 8 NOVEMBRE 2011


"NOI siamo colloquio"


- L'Altro e la Comunicazione - 



(1° incontro del corso di formazione Ra.Mi.) 





Partiamo anzitutto dall'analizzare il tema centrale ed essenziale, che è quello del perché, della motivazione: Perchè accade, o può accadere, che ci si rivolga all' "altro", che ci si spinga con sempre più forza a ciò che è "altro" in quanto vive un disagio che non è il mio, o in quanto porta una disabilità fisica o psichica che non è in me, o in quanto abita un territorio che non mi appartiene?

Possiamo rispondere che avviene un passaggio, estremamente personale e variabile, per cui, ad un certo punto della propria vita, si contattano alcune emozioni, spesso molto profonde e complesse da elaborare nell'immediato, cioè alcune cose di sé, le quali portano alla scelta di un percorso che conduce all'incontro dell'altro in un ruolo un pochettino asimmetrico: si diviene colui che aiuta l'altro, identificando quest'ultimo, più o meno in ogni caso, come avente un evidente bisogno di supporto e dell'altrui presenza a causa delle particolari difficoltà in cui si trova.
Insomma, accade che ci si trovi a dare, come si suol dire, una mano all'altro, ad intervenire nelle difficoltà dell'altro, e ciò ha dei significati che, in sostanza, si riconducono ai percorsi biografici di ciascuno, cioè ad un personalissimo affastellarsi di emozioni e di vissuti e di contatti, che peraltro son ciò da cui ognuno trae origine ed alimento in ogni determinato momento della vita. Ora, alla luce di quanto appena detto sulla radice biografica di tale tendenza all'altro, possiamo dire che si è portati a scegliere un percoso esistenziale di prossimità verso l'altro anche in quanto percorso che possa esser favorevole ed andare incontro a se stessi: per andare oltre la retorica, nell'aiutare l'altro ci si aiuta al contempo.
Ebbene, questa acquisizione comporta sicuramente effetti molto sani ed arricchenti; va detto, comunque, che alle sue spalle ha un processo che deve essere svolto e consapevolizzato con chiarezza e senza inutili lentezze. Infatti, nell'altro si possono trovare anche dei potenziali rischi o dei pericoli per noi stessi, ossia ci può essere l'oblio del sé, il finire per dimenticarsi di sé, da cui poi non può che conseguire la progressiva inefficacia del proprio rapporto con l'altro. In altre parole, è possibile che si arrivi ad una carenza, anche molto grave, di energie relazionali proprie, al cosiddetto "effetto bourn-out", il quale si caratteriza come una sorta di corto-circuito immateriale: nella grande fame di nutrire e di supportare l'altro, si finisce per scordare di nutrire e di alimentare il proprio stato energetico-cognitivo-emozionale.
Dopo di questo, possiamo entrare allora nel vivo domandandoci:
Chi è l'altro per me? Chi è l'altro in cui mi identifico emotivamente di più o di meno? e perchè mi accade tutto ciò?
Cerchiamo di iniziare subito con il prendere in discussione il tema molto amplio delle emozioni umane, le quali governano gran parte della nostra vita. Per fare un esempio molto generale, che traggo direttamente dal mio portato esperienziale, il mio lavoro a contatto diretto con persone portatrici di gravi dsabilità mi ha enormemente rieducato all'emotività, poichè loro stesse è come se vivessero nella condizione, per lo più, di un nervo scoperto nel mondo, con un'emotività fortissisma e molto presente, "a fior di pelle". Questo stato di vivacissima emotività, invece, tende generalmente ad essere abbastanza bloccato in condizioni cosiddette normali, per dare così priorità al ragionamento, per vivere soltanto "dalla testa in sù". Di fronte a ciò, mi piace spesse volte affermare che noi esseri umani siamo portatori sani di emozioni, le quali, peraltro, abbastanza unanimemente sono ritenute numericamente ridotte (da 6 a 8 tipi, a seconda delle correnti di pensiero ) ed ancor di più sono ritenute, da certe teorie moderne, assolutamente innate.
In breve, non sempre abbiamo bisogno della ragione per spiegare e comprendere, ma c'è il bisogno di accogliere le emozioni sorgenti e di contattarle e di riconoscerle: impariamo ad esplorare le nostre emozioni e quindi a contattare la propria potenzialità comunicativa! Piu o meno, infatti, parlando di come funziona in generale la comunicazione inter-soggettiva, molti studi hanno appurato che sostanzialmente il canale verbale (le parole, le frasi, le proposizioni che vengono adottate ecc...) copre soltanto il 30% del messaggio complessivo che giunge al destinatario, mentre il restante 70% viene coperto dai canali di comunicazione non-verbali, ossia dal tono della voce piuttosto che dalla gestualità piuttosto che dall'orientamento dello sguardo di chi comunica ecc...
Perché, dunque, bisogna educarsi alla comunicazione?
Possiamo dire che esistono molte attività, più o meno abituali, le quali si compiono in uno stato di pressoché nulla consapevolezza, così come accade, per esempio, quando saliamo le scale di casa senza sapere affatto quali muscoli, quali articolazioni ed ossa, sono implicate necessariamente in tale operazione. Ebbene, portarci al livello della matura consapevolezza, nel salire le scale come in tantissimi altri ambiti o contesti, può permetterci di rendere più efficace e più produttivo ciò che facciamo, può permetterci di avere a disposizione una serie più amplia di opzioni con cui diversificare la stesso medesimo tipo di operazione. Educarsi, quindi, a comunicare in maniera consapevole vuole far sì che ciò divenga uno strumento per se stessi e per l'altro, perché in questo modo possiamo educarci a capire cosa ci può accadere in un dato momento, le emozioni sorgenti che mi possono caratterizzare, il fatto che si può comunicare con forza ed intensità anche non verbalmente.
Essere consapevoli che si è portatori sani di un proprio senso che si cerca di rintracciare nel mondo e di trasmettere all'altro, che comunicare è “un fare” importantissimo, il quale attiva di necessità un mondo nell'altro; perciò, bisogna essere consapevoli delle parole utilizzate, del perché lo sto facendo per me stessa, della motivazione che alla radice mi muove verso l'altro.

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